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- Sorrento nella Poesia -

La Grande Stagione Romantica

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Siamo ormai nel pieno della grande stagione romantica, a cavallo tra Settecento e Ottocento, e Alphonse De Lamartine ben si inserisce nel coro dei poeti europei che, nella profonda malinconia tassiana, intravidero un primo e lontano presagio di quella tempesta spirituale da cui sarebbe nato il Romanticismo.

“Quando l’orizzonte del mattino era limpido, io vedevo brillare la casa bianca del Tasso, sospesa. come un nido di cigno alla. sommità di una scogliera gialla, tagliata alla base dalle onde. Questa vista mi affascinava”.

“Sulla spiaggia sonora,dove il mare di Sorrento
svolge le sue onde bleu, ai piedi dell’arancio (1811)”.

E’ questa l’epoca del Grand Tour, quasi un devoto pellegrinaggio dei grandi spiriti europei in quei luoghi del Sud che furono la culla del mito, della poesia e della classicità, e sempre più folta diventa la schiera degli illustri visitatori che approdano anche a Sorrento, come recita, con legittimo orgoglio, la grande lapide marmorea, seppure incompleta, posta sulla facciata del Museo Correale di Terranova.

E qui Onofrio Gargiulli (1814) riscopre il fascino delle leggendarie sirene, Silvester Scedrin(1820) la varietà e la vivacità del paesaggio, Richard Keppel Craven (1821) le vestigia dell’antico splendore, nelle iscrizioni, i bassorilievi, le colonne e le statue, che fanno tuttora del territorio uno dei siti archeologici più celebri al mondo.

Nel suo “Invito a Sorrento”, August Von Platen (1827) così si rivolge all’amico (e sembra scorgere in questi versi, non senza sorpresa e profonda emozione, l’eco gioiosa e accorata dell’Ode all’amico massese rusticante, del già citato umanista cinquecentesco Costanzo Pulcarelli):

“Amico mio, lascia la polvere di Napoli…
Vieni qua, dove l’aria pura ti circonda!
Vedi come sono variopinti i colori della vite
che si arrampica da un ulivo all’altro.
Dalle quali la frutta pende.
Il fico ha folto fogliame a fronda larga.
E tu, bel limone, cresci nel profondo burrone!
....................
Qui c’è ombra e dolce ristoro che porta
all’uomo coraggioso che si trova sullo scoglio
il sapore del mare attraverso
l’onda che s’infrange sulla roccia.
....................
Ci sono delle grotte...
dove i pescatori ci portano spesso,
dove il mare luccicava e splendeva
di un colore bleu e rosso come porpora.
....................
La nostra alleanza non è uguale a tutte le altre.
Sono testimoni mare e terra;
testimoni sono anche i ruderi
creati dalla potenza romana.
....................
Il tempo...
ha gettato nell’erba la bella colonna
come frammenti.
Amico, l’amore è rimasto!
Serviamo quell’amore!
Se in futuro si riunisse il genio e l’amore
allora si costruirà un’altra Roma .”

In questi versi di struggente bellezza, oltre all’altissimo e raffinato lirismo, colpisce l’assoluta novità, che consiste nell’introduzione di un duplice tema, l’amicizia e l’amore, che farà d’ora in poi di Sorrento la meta prediletta, non meno di Venezia, delle più celebri coppie di amici e di amanti che, all’inebriante profumo degli aranci, alla musica segreta del mare, allo splendore argentato del plenilunio sul Golfo, hanno attinto nuova linfa ai loro affetti e alle loro passioni.

E riprende l’interminabile salmodia dei diari e degli appunti di viaggio, in cui viene descritta, con cura minuziosa e dovizia di particolari, la varietà del paesaggio rurale e marino, la limpidezza del cielo, l’amenità delle alture, la loggia fiorita sullo sfondo scenografico del Golfo.
Fenimore Cooper (1829)

“Non c’è una grotta, che non getti sull’onda luccicante un’immagine di gioia.”
Samuel Rogers (1831)

I boschi d’aranci, le casette tra le vigne, il mirto e il roseto rampicante, i colori abbaglianti tornano in Paul De Musset (1832) mentre in P.I.R. Denne-Baron troviamo che a Sorrento “Tutto è sereno, tutto è calmo, tutto è azzurro, l’acqua come il cielo, e questa piccola città si può paragonare, vista dal mare, a un nido di colombe.”

Ne era rimasto tanto innamorato il De Musset, da scrivere:

“Così, mio caro amico, tu ritorni da un paese di cui io mi ricordo come d’un sogno. Là è rimasto il mio povero cuore, il mio povero cuore l’hai trovato tu?”

Siamo nel pieno dell’affollatissimo Ottocento, quando il coro di voci che inneggiano a Sorrento si fa sempre più variegato ed intenso, contribuendo in tal modo a diffonderne la leggenda nel mondo.

“Sorrento è il paradiso dell’Europa.”
Francesco Alvino (1842)

“E’ tale la seduzione di Sorrento, che né la poesia, né la pittura sapranno esprimere intiere.”
Ignazio Cantù (1842)

“Invano mi son provato a descrivere Sorrento… Persino il suono dei tocchi all’Ave Maria, che si sperde fra quell’acque, ti apprende un sentimento di poesia, ignoto sotto altri cieli.”
Pier Ambrogio Curti (1844)

“E l’attenzione dell’osservatore va sempre più spostandosi dallo splendore del paesaggio alle bellissime donne dai capelli neri.”
Charles Dickens (1845)

“Talvolta ad attirare l’attenzione sono le rovine archeologiche lungo la costa ed affioranti dal mare, che, in seguito all’eruzione del Vesuvio del 79 D.C. aveva invaso il lido delle sirene.”
Mariana Starke (1852)

Ancora di paradiso parlano Ferdinand Gregorovius (1853) e Julia Kavanagh (1857), estasiata quest’ultima dell’intenso profumo dei fiori d’arancio, dal perpetuo canto dell’usignolo e del merlo, dal mistero delle sirene che ancora respira nelle grotte marine.

“Oh Sorrento! Tu devi andare
nel delizioso luogo di paradiso”

Durant Drake (1862)

Dopo le dotte citazioni di Gaetano Nobile (1863) compaiono le costumanze locali della gente “che stace a stu paese”, nei versi dialettali di Luigi Pica (1863):

“Cca ‘ncapo ‘e piede ‘e l’anno fanno feste
addò a migliare sparano li masche,
metteno panarelle a li feneste
e ‘ntrezzano li lume cu li frasche,
cu museca e cu fuoco d’artefizio
e pallune ca vanno a precipizio.
Tanno de gala ognuno po s’apara,
lli femmene s’allisciano da spose.
Tu vide pe’ li strade na sciummara
de giglie, de garuofane e de rose.”

E poesia in prosa sono le parole di Ippolito Taine (1864)

“Questo largo infinito spazio, abbagliato deliziosamente
come per una delicata festa voluttuosa...”

Ma sarà nel “The Englishman in Italy” (L’Inglese in Italia) di Robert Browning (1812-1889) che troveremo una delle più splendide liriche ispirate al Piano di Sorrento, sullo sfondo autunnale di una giornata di scirocco e di pioggia.

“Tutta Piano mi ha visto cogliere
fiori o erbe per farne ghirlande...
Rossomature più che mai
si screpolavano le melagrane
e si spaccavano a metà...
ovunque sollevava
lo stelo riarso di ginestra pugnace
il suo giallo fiore...”

Il mattino intanto annuncia la pioggia.

“E fuori, sui tetti a terrazza
dove seccavano i fichi,
le ragazze mettevano i graticci al riparo...
Sotto la scogliera
le onde nere irose spumeggiavano sugli scogli sommersi...”

A causa del tempo cattivo, non c’è lo spettacolo del pescatore che torna da Amalfi,
con il suo carico di polpi grigio-rosei e frutti di mare, con i diavoletti mocciosi e nudi che strillano e si stringono attorno a lui, che sul petto nudo porta l’amuleto di bronzo per scampare al naufragio.

“...Sono tornati proprio tutti
i nostri amici, e col loro aiuto
la vendemmia è cominciata.
Nel tino in mezzo al portico
ribolle sanguigno il mosto,
e vi danza a gambe nude tuo fratello...
e quando pare abbia finito
nuovo bottino riversano
le ragazze che vanno e vengono senza posa
con la gerla sulle spalle
socchiudendo gli occhi alla pioggia sferzante...”

Intanto sotto la siepe di aloè, dove sulla terra nera rosseggia il pomodoro polposo, le ragazze più piccole raccolgono chiocciole, per il cenone dei vendemmiatori, in cui saranno servite con lasagne, fettuccine e fette di zucca fritta.

La lirica si chiude con la scalata, a dorso di mulo, alla cima del Monte Calvano:

“L’abisso divino
era sopra di me, e attorno, a me le montagne,
e sotto il mare,
e dentro di me il mio cuore a testimoniare
ciò che fu e che sarà.”

Eccoci finalmente alla presenza di un affresco possente in cui, sullo sfondo ottenebrato del mare in burrasca e d’un cielo nuvoloso, sfolgora il biancore delle onde che s’infrangono sulla scogliera, il rosso rubino della melagrana spaccata, il fuoco del pomodoro maturo, l’oro giallo della ginestra, il viola degli acini d’uva rigati delle gocce di pioggia. Ma soprattutto risalta, in un contrappunto felice con una natura finalmente inquieta e fremente, la vitalità gioiosa delle fanciulle e dei giovani seminudi che, nei tini dove il mosto ribolle, celebrano la vendemmia come in una danza rituale.

Ed ecco finalmente un poeta, il cui animo, sulla vetta del monte Calvano, si libra negli abissi divini, a testimoniare l’infinito e l’eterno.

Copyright © 2004 Salvatore Cangiani. Tutti i diritti riservati.