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- Sorrento nella Poesia -

L'omaggio dei poeti italiani e stranieri

di

 

La Terra Sorrentina è stata vista e sentita da sempre come sinonimo, singolare e perfetto, d‘una superiore armonia, fatta di luci, di colori e di suoni, alla quale hanno attinto poeti ed artisti locali e stranieri.

E tuttavia, dopo quello del Tasso, nessun altro nome, tra la folla dei verseggiatori sorrentini, ha mai raggiunto una dimensione veramente universale, per altezza di ispirazione e profondità di pensiero, quasi la natura non intendesse duplicare il privilegio unico, che aveva conferito a Sorrento, eleggendola a patria dell’immortale Torquato.

O forse più probabilmente, la congenita “felicitas” della sua gente, favorita e cullata dalla solare mitezza del paesaggio e del clima, non ama indulgere all’introspezione, allo scavo interiore, alla sofferta rielaborazione del comune dramma esistenziale, da cui per lo più scaturisce la grande letteratura.

Questo forse spiega anche perché il genio dolente del Tasso abbia potuto spiegare le sue ali possenti in ben altri cieli, del tutto estranei all’azzurro abbagliante che avvolge il promontorio sospeso tra i due Golfi, ed al sentimento di pace profonda che esso suscita in noi.

Sta di fatto che i soli momenti, in cui il tono epico e tragico della grande poesia tassiana si addolcisce e si stempera nell’idillio e nel sogno, sono quelli in cui gli ritorna alla mente qualche vaga memoria della sua terra lontana.

“Te pianser poi gli scogli, e il mar tranquillo
del bel Sorrento...”

“Vi muoverete a visitar tante altre
Città d’Italia, e vi verran negli occhi
le dolci rive della mia Sorrento.
Salutate quell’aure!”

Della sua città natale, il Tasso dunque non avrà che un’accorata nostalgia, un lungo e segreto rimpianto.

E’ nei suoi versi, che comincia a delinearsi quel denominatore, divenuto nel tempo sempre più comune a quanti, stranieri ed indigeni, non hanno saputo sottrarsi alla tentazione di sciogliere un loro canto di lode a Sorrento.

Un tono descrittivo e innografico sottende allo sterminato florilegio di liriche che s’ispirano alla dolcezza dell’aura e delle rive sorrentine, ad opera di autori di ogni provenienza e cultura, poeti di già larga fama, ma anche spesso improvvisatisi tali, all’impatto emotivo con i colli, i lussureggianti giardini, gli scogli ed il mare delle antiche sirene.

Il sentimento che vi predomina, è quello di un incantato stupore davanti a tanta bellezza, cui solo si addicono le tinte più tenere, e non piuttosto le fosche atmosfere della disperazione e dei tumulti del vivere, ai quali anzi hanno trovato sollievo tanti spiriti inquieti, in una terra che è essa stessa matrice e sostanza di un canto a gola spiegata, sull’onda del quale si dissolve, come neve al sole, anche la più torbida e cupa malinconia dei romantici.

E non è a dire che la vasta produzione letteraria fiorita a e per Sorrento si limiti ai versi più o meno famosi, in quanto essa non disdegna affatto la prosa, spaziando nei suoi generi più vari e diversi, dal romanzo alla novella, alla saggistica, dalle corrispondenze ai diari e agli appunti di viaggio.

Nei suo “De Genio Sorrentino” Pietro Gravina (1485), per non parlare dei già citati Omero,Virgilio, Strabone, Stazio, ai quali certamente si collega e si ispira, prorompe in un elogio entusiasta e commosso di questi luoghi che egli definisce:

“Opera della natura in festa, dolcissima terra, ... o pacifica Sorrento, specchio della vita celeste, di cui nessuna terra è più gradita ai miei occhi....
Me ospitino i colli di Sorrento e gli antri battuti dai flutti del mare stupendo...
Se qui la mia vecchiaia, mai priva di gioia, vivrà senza danno gli ultimi giorni, non invidierò i re e affermerò d’aver vissuto felice e nelle grazie degli eterni numi...”.

Della posizione geografica, della costa tufacea che scende a strapiombo nel mare, della natura lussureggiante e dei prodotti del suolo, soprattutto il vino assai decantato fin dal tempo dei Romani, parlano a più riprese Leandro Alberti (1577), Coelestino Guicciardini (1667), Henry Swinburne (1780), Forsyth (1782) soffermandosi gli ultimi due particolarmente sulla straordinaria dolcezza del clima.

“Si dice che il temperamento degli abitanti rassomigli al clima nella mitezza”.

“Un clima in cui il soffio del paradiso profuma dolcemente e amorosamente, una natura vigorosa e lussureggiante, una costa che fu la terra da fiaba dei poeti e l’eremo favorito di grandi uomini”.

Ma torniamo alla poesia.

Nel 1621, Scipione Herrico cantava:

“Presso al lido gentil del mar Tirreno
vaga e pomposa siede
l’amorosa Sorrento...
che d’ogni altra vaghezza
un vezzoso compendio in sé rinchiude!”

“Qui sempre verde è l’erba
qui sono eterni i fiori
e sempiterni i frutti...
L’aura che sussurrando
bacia i vezzosi fiori,
sfida gli augelli al canto
ch’or fanno in varie guise
sovra i frondosi rami
di celeste armonia, soavi cori!”

“Ogni altra isola o regno avrei lasciato
con mio sommo contento
per la bella Sorrento…”

Dove non c’è chi non senta, in quell’eterno avvicendarsi dei fiori e dei frutti, un’eco fin troppo evidente dei versi con quali il Tasso aveva cantato i giardini di Armida:

“Coi fiori eterno il frutto dura
e mentre spunta l’un, l’altro matura...”

E si torna a parlare del suolo vulcanico, della superba vegetazione, delle rupi di pietra di tufo che formano stretti valloni in cui si aprono grotte e caverne (Sir Richard Colt Hoare,1784).

Parla ancora del clima impareggiabile William Linton (1787):

“Il clima di Sorrento è, forse, senza rivali in Europa”, così come sui monti e l’azzurro del mare, seminato di vele bianche, si sofferma René De Chateaubriand (1810).

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