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Il racconto delle processioni degli incappucciati *di Giovanni Gugg![]() La processione bianca del Venerdì Santo a Sorrento (foto Giuseppe Ruggiero)
Anzitutto è necessario chiarire e definire il campo da cui muove la mia riflessione, che è quello della festa. Sebbene, infatti, i riti pasquali di penitenza non si esprimano attraverso gioia e allegria, bensì con tristezza, mestizia, riserbo e lutto, anch’essi rappresentano, con cadenza calendariale, una sospensione del tempo ordinario, cioè un momento di esaltazione dell’extraquotidiano che, nel caso specifico, potremmo definire sinteticamente “la risposta data dall’uomo alla propria condizione di precarietà” (Vittorio Lanternari). L’origine arcaica di questi riti risale a culti legati al ciclo agrario dell’anno, poi trasposto nei primi secoli cristiani nel calendario liturgico (che attraverso il sincretismo tentava di far scomparire i costumi pagani), la cui importanza è dimostrata dalla nascita di una vera e propria scienza del “computo” ecclesiastico per la determinazione della data della Pasqua, la quale risentiva già delle oscillazioni di derivazione ebraica (Lello Mazzacane). Le modalità concrete del “far festa” sono molteplici, e numerose sono quelle con cui si esprime questo particolare tipo di festa anche in Penisola Sorrentina: si pensi ad esempio all’allestimento dei “Sepolcri” o ad alcune forme della cosiddetta “drammatica popolare” con figuranti e attori, ma si pensi soprattutto alle processioni degli incappucciati del Venerdì Santo con tutto il loro carico simbolico. Da un punto di vista antropologico, tali processioni possono essere considerate delle vere e proprie narrazioni, anzi delle metanarrazioni, in quanto attraverso la sacra rappresentazione della Passione del Cristo offrono uno spaccato sull’orizzonte culturale della comunità che le mette in scena. Si tratta, infatti, di istituti festivi che rifanno “presente” l’evento di fondazione (la morte e resurrezione del Cristo, appunto, ovvero il miracolo per antonomasia), un evento che è “al tempo stesso reale e simbolico, presente e passato, è avvenuto una volta e avviene qui e ora” (Lello Mazzacane), una manifestazione dunque che è “vissuta” contemporaneamente da tutti (“protagonisti” e pubblico) e che oltre ad essere un’espressione di socialità e ad esercitare una funzione aggregante, può essere letta anche come rappresentazione dell’organizzazione sociale, cioè dell’ordine costituito. A Sorrento, e in generale nel resto della Penisola, le processioni della Settimana Santa rispettano almeno tre fondamentali “codici organizzativi della sfilata” (R. M. Ferrari):
Si tratta, dunque, di una solenne cerimonia che esalta sia il valore intrinseco del gruppo che sfila, sia il prestigio sociale dei singoli partecipanti al corteo, in quanto conferisce legittimità al loro status, ai loro titoli, ai loro ruoli. Ma le processioni, movendosi sempre all’interno di uno spazio preciso e non “sconfinando” mai, sono anche, da un lato, uno dei modi in cui il gruppo esprime la sua appartenenza ad un determinato territorio e, dall’altro, uno strumento con cui la comunità ribadisce il suo potere proprio su quello spazio.
Riferimenti bibliografici:
--------------------------- * Questo articolo è stato pubblicato nel periodico sorrentino “Sireon” (n. 0, marzo 2005, p. 1). Qui se ne presenta una versione leggermente modificata per adattarla al mezzo informatico.
© Copyright 2006 Giovanni Gugg. Tutti i diritti riservati.
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