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La trasformazione della città nel cuore dell’Ottocento

Il Ventre di Sorrento

di Giovanni Gugg

L’inizio della trasformazione di Sorrento venne deciso quasi all’unanimità dal Decurionato cittadino il 29 settembre 1840: quel giorno su dieci votanti uno solo fu contrario a decretare l’abbattimento del castello sito all’ingresso est della città, dove attualmente c’è piazza Tasso. I motivi di tale demolizione (avvenuta poi nel giugno del 1843) furono riconosciuti nella «luridezza delle fabbriche crollanti», ma anche nella necessità di «togliere degl'inconvenienti» e nel «decoroso aspetto che va a prendere questo paese».

Quel castello venne eretto nel 1459 sul posto della casa Acciapaccia e ingrandito nel 1506. Nel 1799 fu parzialmente diroccato dai Francesi che assediarono la città per soffocare la rivolta di «pochi reazionari», come li definì Manfredi Fasulo agli inizi del Novecento. (*)

In tutta la sua storia la città non aveva mai subìto un colpo di tale portata, solo un precedente – almeno in epoca moderna – comportò effetti altrettanto visibili sul paesaggio urbano locale: la costruzione delle mura fortificate in seguito allo spaventoso assedio del 1558 da parte dei Turchi, oggi rimaste in piedi solo nella zona di Parsano lungo un breve tratto di via degli Aranci.

La demolizione del castello, tuttavia, non fu altro che l’inizio di un processo che per certi versi sembra non essersi ancora concluso. (**) Cominciarono, infatti, una serie di interventi la cui responsabilità andava ben oltre la mera modifica degli elementi materiali, ma piuttosto toccava un sistema di riferimenti che fino ad allora aveva dato senso e realtà alla città. In contemporanea iniziò la graduale colmata del Vallone dei Mulini, che di fatto sconvolse gli equilibri preesistenti fondendo il centro con il borgo ed attivando così l’espansione dell’urbanizzazione al di fuori della cinta muraria viceregnale.

Proprio la copertura dei valloni intorno a Sorrento (completata nei primi anni del XX secolo con materiale di risulta) può considerarsi l’evento più profondo nella metamorfosi del paesaggio locale, perché oltre a cancellare gli stessi connotati fisici della città, ne ha snaturato addirittura l’antico significato del nome: secondo l’archeologa Paola Zancani Montuoro, infatti, l’etimo di Sorrento non avrebbe alcun collegamento col mito delle sirene, ma deriverebbe piuttosto dal verbo greco “surreo”, che significa “concorro”, “scorro insieme” o anche “confluisco”. In questo caso il toponimo corrisponderebbe perfettamente alla morfologia del costone sorrentino, per l’appunto dotato di «due corsi d’acqua che, […] sboccano in mare distinti e distanti, circonvallando la città». (***)

Al maniero sorrentino sopravvisse soltanto la Porta orientale, la cosiddetta Porta del Piano, sulla quale fu trasferito l’orologio del castello (sull’altro lato della Porta il Decurionato decise di «farcene uno finto, onde abbellire e decorare l’ingresso del Paese»). Ma ben presto sparì anch’essa perché la trasformazione che fino ad allora aveva interessato solo l’accesso a Sorrento, adesso finalmente era pronta ad investire il cuore stesso della città. L’antico impianto urbano romano – quello del cardo e del decumanus che si incrociano ad angolo retto – fu infatti stravolto da una nuova strada, il “corso Duomo” (“corso Littorio” durante il fascismo e “corso Italia” oggi).

Si trattava – e si tratta – di una strada leggermente obliqua che rompeva la geometria dell’originario tessuto abitativo, una strada fuori scala, l’unica corredata di marciapiedi: quella dove allineare i palazzi dei ricchi e i negozi di lusso, quella dove far sfilare le processioni e i cortei. (****)

Era il 1866, e la “bizzarra” idea che Sorrento così com’era non fosse adeguata ad accogliere aristocratici ed artisti internazionali si stava realizzando: ecco finalmente una strada degna dell’immagine che si voleva dare all’esterno, anche a costo di sventrare insulæ, giardini e palazzi patrizi, anche a costo di ulteriori demolizioni, come quella della Porta occidentale (detta “di San Bacolo” o “della Potenza”) per far posto anche qui ad una strada, quella di collegamento tra Sorrento e Massa Lubrense (dove oggi si trova buona parte degli alberghi).

La metamorfosi ottocentesca del centro di Sorrento si concluse, poi, con la demolizione della Porta della Marina di Capo Cervo (l’attuale Marina Piccola)(*****), abbattuta per lasciare spazio ad un doppio tornante carrabile che seppellì l’antica gradonata e gran parte delle case dei pescatori sulla spiaggia in vista della costruzione del porto (nel 1912).

Da questo primo nucleo, la “grande trasformazione” si allargò al resto della Penisola, in particolare ai centri abitati del Piano (Sant’Agnello, Piano di Sorrento e Meta), i quali cominciarono ad espandersi l’uno verso l’altro seguendo un’edificazione di tipo lineare lungo il tratto di strada che li collega tra loro, ovvero lungo l’asse viario più importante per il traffico locale: un processo di cambiamento che – com’è intuibile – proseguì a macchia d’olio nel corso del Novecento, anche se con motivazioni e proporzioni di tutt’altra natura.

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(*) M. Fasulo, La Penisola Sorrentina, Tip. Cav. G. M. Priore, Napoli 1906, p. 457. È interessante sottolineare come la storia possa essere interpretata in maniera radicalmente diversa a seconda dei punti di vista: ad esempio, mentre in Spagna i rivoltosi del primo Ottocento contro i Francesi erano considerati “eroi” e “partigiani”, qui in Italia venivano bollati come “reazionari”.

(**) Gli sventramenti degli ultimi giardini sorrentini per far spazio alla costruzione speculativa di garage per le auto sono un esempio lampante di quanto l’omologazione paesaggistica (dunque culturale) sia un problema drammaticamente attuale.

(***) Cit. in G. Jalongo, Case e casali della penisola sorrentina, Officina Edizioni, Roma 1993, p. 41.

(****)Una preziosa documentazione fotografica del “prima” e del “dopo” la fornisce Alessandro Fiorentino in Memorie di Sorrento. Metamorfosi di un incantesimo 1858-1948, Electa Napoli, Napoli 1991.

(*****) Rimasero in piedi, invece, e lo sono ancora oggi, le rimanenti due porte dette “di Parsano Nuova” (anticamente conosciuta come “degli Anastasi”, costruita nel 1745) e “della Marina Grande” (costruita nel 1558).

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