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I capolavori della culinaria sorrentina per onorare i Santi Patroni

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I maccheroni 'ncasciati: tipico capolavoro d’arte culinaria della penisola sorrentina affonda la sua origine probabilmente in era precolombiana e la sua denominazione doveva essere "maccheroni 'ncaciati" cioè senza la "s" per indicare il tipo di condimento - ricoperti di cacio - così come il tipo di pasta usata inizialmente per questo piatto fosse un tipo di lagane e non lo zito spezzato o i mezzani se si tiene conto che il termine maccherone era per il passato utilizzato per indicare qualsiasi tipo di pasta, così pure il suo condimento non doveva prevedere né il pomodoro né il cioccolato.

Da tempo immemorabile la pietanza è stata scelta dai cittadini di Piano per onorare il loro Santo protettore S. Michele in occasione della sua festa patronale.

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Per ottenere una perfetta esecuzione di questo piatto bisogna soffriggere lentamente in 100 gr. di olio due cipollotti, aggiungere 500 gr. di tracchiolelle e subito dopo un buon bicchiere di vino bianco secco e tenere in cottura fino a quando la carne ha ceduto il grasso alla pentola, si è staccata dall’osso, accartocciandosi al centro di esso. E’ questo il momento di versare nella pentola abbondante basilico sminuzzato con le mani che appena appassito, togliere la pentola dalla fiamma e versare in essa una manciata di uvetta di Smirne o sultanina, unitamente ad altrettanti gherigli di noci, lasciare riposare qualche minuto per consentire all’uvetta di rinvenire. A parte si è fatta cuocere la pasta al dente che ben scolata si mescola nella zuppiera con il sugo ricoprendo il tutto con abbondante pioggia di cacio grattugiato proveniente da una testa di caciocavallo ben stagionato.

 

Il pranzo di S. Michele si conclude con il solito "dulcis in fundo" di Scuola Medica Salernitana, ed arrivano le melanzane alla cioccolata le cui origini sono contese da diversi conventi e monasteri della regione. La più accreditata a mio avviso è quella che fa nascere questa leccornia nel convento francescano in Polvica di Tramonti come "melanzane dolci".

I monaci di questo convento preparavano un infuso liquoroso molto dolce e denso che confezionavano mettendo in infusione nell’alcool bucce di verdelli, chiodi di garofano, cannella, liquirizia, noce moscata che lasciavano riposare per trenta giorni ed al quale univano uno sciroppo d’orzo a cui aggiungevano alcune erbe profumate che non erano sempre le stesse (citronella, timo, maggiorana, ecc.). Chiamavano questo infuso "concerto d’erbe". In questo infuso intinsero le lunghe fette di melanzane prefritte in olio bollente, realizzando le melanzane dolci.

Come avveniva sovente tra conventi e monasteri i monaci tramontani divulgarono la nuova ricetta tra le comunità religiose della penisola e della regione e la ricetta subì le varie trasformazioni a seconda dell’inventiva di padri cucinieri e madri badesse che ricoprirono le fette di melanzane di una soffice salsa di cioccolato che naturalmente cambiò anche il nome alla nuova invenzione in melanzane alla cioccolata.

Il dolce è presente in varie località della regione con varianti proprie, come l’aggiunta di ricotta e amaretti sbriciolati a Sorrento o la dadolata di canditi e pinoli e l’aggiunta di liquore "Strega" nella costiera amalfitana e cilentana.

Successivamente la tradizione gastronomica della penisola incomincia a confondersi con quella campana, quando questa si arricchisce dell’indiscusso suo protagonista "il maccherone" (così sembrerebbe fosse chiamata la pasta nel tardo medioevo, lo stesso nome che oggi indica, invece, un formato di pasta cilindrica e cava in contrapposizione agli spaghetti).

Non è certamente facile datare la comparsa della pasta nell’alimentazione dell’uomo. C’è chi sostiene peraltro senza il supporto di adeguata prova scientifica, che la pasta fosse un alimento già consumato dagli etruschi ed ancora durante la dominazione ostrogota seconda la tradizione popolare essa invece sarebbe stata introdotta in Italia da Marco Polo che ne avrebbe rubato l’idea ai Cinesi.

La pasta rappresentò una grande innovazione rispetto ai vari tipi di pane perché essa poteva essere mangiata calda mantenendo il sapore e la consistenza al di sopra di tutti gli altri prodotti essiccati e realizzati con farine di cereali.

Anche indiani ed Arabi si alimentavano a vermicelli minimo 50 anni prima che Marco Polo lasciasse Venezia per i suoi viaggi in Oriente, e la distanza che separava Venezia dai paesi arabi nel medioevo non era che un passo relativamente breve.

E’ probabile che la pasta sia entrata in Italia per questa via verso l’XI secolo ed, affermatasi nelle città commerciali di Venezia, Firenze, Genova, Amalfi, si diffuse rapidamente per il resto del paese attraverso il personale di servizio delle grandi famiglie e tramite conventi e monasteri.