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Sorrento - Le Arti

di Marina Limone

Sorrento - Chiostro di San FrancescoSorrento - Chiostro di San FrancescoSorrento - Chiostro di San Francesco
Sorrento - Chiostro di San Francesco
(Copyright © 2003 Giuseppe Ruggiero - Riprod. Vietata)

Canto di Sirene che perdevano i naviganti: questa è l’eco che soffia nel nome Surrentum, e nelle insenature della sua costa alta e oscura. Costa che, piegando sul mare, alloggia ancora adesso i resti della Villa di Pollio Felice (prima metà del primo secolo), alla punta del Capo di Sorrento: nidi d’ape salatissimi (opus reticulatum, direbbero Quelli che sanno), presso i quali è affondato un piccolo catino altrettanto salso, il Bagno della Regina Giovanna – echi minacciosi di svaghi sovrani più o meno sanguinari – con il suo andirivieni di acque azzurre e verdi e viola.

Non furono i primi, i Romani: avanti anche in questo, i Greci eressero mura di difesa in una solida cinta che lascia, sotto il livello della Porta Parsano Nuova, segno poderoso di sé, fragile agli insulti del trash globale.

Diffuse, disseminate, talora neglette le tracce medioeveali, dalla zampa di grifo invisibile nell’angoletto, a terra, tra Via Tasso e Piazza Vittoria, alla ben più invadente base del campanile del Duomo, romanica (secolo undicesimo?), tutta un patchwork di capitelli e colonne e frammenti di marmo e piedistalli di umani ormai assenti, con puntate bizantine, molta classicità e persino troppa umidità sotto la volta. E poi il portale laterale della Basilica di Sant’Antonino, una ricercatezza bizantino-romanica (tra decimo e undecimo secolo); e gli archi intrecciati e appuntiti ("ma si dice a sesto acuto!") del Chiostro di San Francesco (tardo secolo quattordicesimo), che guizzano ormai da lungo tempo su due soli lati intorno ad uno spazio timidamente fiorito. E le case: Palazzo Correale in Via Pietà (tra XIV e XV), con le bifore e gli archetti e le ogive e i rosoni; Palazzo Veniero, poco appresso, tanto rimaneggiato, ma pur sempre con finissime aperture misto arabo-bizantine, delicatezze nei colori, fantasiosità nei materiali, assortimento nei decori.

Si rinacque anche a Sorrento: tra Quattro e Cinquecento le belle arti dell’edificare deposero una casa in Vico Calantariato sotto influenze – chissà come – toscaneggianti (erano a Napoli, gli etruschi); e il piatto forte di tutta l’imagerie artistico-turistica sorrentina: il pluricitato, pluririprodotto, pluriacquistato (in cartolina, of course: ci si è smaliziati dai tempi della Fontana-di-Trevi-patacca di Totò ai danni dell’ingenuo brucculino) Sedil Dominova, nemmeno lui esente da aggiunte di manine settecentesche. Gli affreschi, per dire, non c’erano, quando sotto la loggia si riunivano a tramare le sorti della città i suoi maggiorenti.

Naturalmente, si largheggiò in chiese, spesso cancellando con furia iconoclasta (miraggio della modernità) i precedenti luoghi di culto, diventati troppo ascetici e frugali per il boom cultural-economico del sedicesimo secolo: la Cattedrale (portale sul fianco, con lo stemma aragonese per lusingare il re, quello di Sisto IV per non far torto alla Chiesa, e quello dell’arcivescovo, contentino per la città); il Carmine, proprio lì a guardar la statua del santo patrono sulla piazza grande (trovandosi, buttare l’occhio sull’orrido Vallone dei Mulini); la Basilica di Sant’Antonino, di più antiche origini e destinata ad un restyling ancora nel diciottesimo secolo nella cripta zeppa di tempestosi ex-voto, fuorusciti da animi talora nativi, tavolta audaci ma che, davanti al disastro, come un sol uomo invocano il mi-ra-co-lo! E l’ottengono pure. La fede muove le montagne.

Legate a filo doppio all’aristocrazia (di sangue, di intelletto) la Chiesa delle Grazie, con annesso convento (di clausura, tunc), raffinato dono di carità di un’antica famiglia patrizia; e la casa di Cornelia Tasso (quella dello spavento per il noto fratello già ben avanti sulla strada del ferrarese ospedale di Sant’Anna; il che, per altro, non gli impediva di poetare ai più alti livelli), con portale e balcone di pregio. Ci si arriva per i cosiddetti vicoli caratteristici della città (così detti dalle guide turistiche, si sa): nelle ore del controluce, torpidi e attoniti; in quelle della sera, brulicanti e vocianti (E, sempre per vicoli, ci si imbatte nella Porta della Marina Grande: accesso al mare – e dal mare – per marinarissi e per saracini).

Nulla invece rimane, si può dire, della casa di Torquato: due camerelle fagocitate ormai in uno degli innumerevoli alberghi di Sorrento (ma uno di quelli al top, ovvio), e niente del tutto suppellettili, oggetti personali, mobili e soprammobili, pergamene, penne d’oca, calamai con cenere, sigilli e ceralacche.

Del rigoglio barocco sono tracce ovunque, come quasi dappertutto da Roma in giù. Superfetazioni decorative, stucchi e marmi, dipinti distribuiti qua e là a manciate per altari, tarsìe di legno per custodir reliquie. Così pure il più prudente Settecento: prodigo di tele, ne lascia in Cattedrale, ne dota il Carmine, le Grazie. In un impeto mistico, produce cripte - una cripta: in Sant’Antonino.

Che più? Nel vol d’uccello che ci siamo imposti, un attimo - non un attimino: almeno un attimo, perbacco - per la sfilza di palazzetti con portoni ringhiere balconi balaustre cieche art déco (che tanto ricordano le damascature dei gusci di materasso anni Trenta-Quaranta), quasi in incognito sulla via per uscire dal centro.

Poi, si capisce, i musei. L’ultimo nato, il Museobottega della Tarsia Lignea, affronta, tratta e cura il tema eponimo. Dovizia di esemplari d’epoca; virtuosismo di artisti-artigiani; molto colore locale. E non solo. Quello antico (ma non poi tanto: inizi ‘900), quello che da sempre è "Il" museo per i sorrentini, è il Correale di Terranova.

Aristocraticamente appartato dal centro, emerge autorevole dai resti (consistenti) del suo sontuoso parco, sobrio all’esterno, animato dentro dallo scambio col fuori.

Attraverso finestroni, arcate, terrazze, verande, pianerottoli aperti, la collezione degli ultimi fratelli Correale vive dell’aria del golfo: abbagliante o tempestosa, macchiata di verde o di bruno, dà il tono alle sale, è il respiro dei paesaggi dipinti, dei ritratti arcigni, delle specchiere dorate, delle porcellane vezzose, dei marmi ingialliti. Grande atmosfera. Grande atmosfera.

 

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