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- Strumenti a plettro partenopei -

Il Colascione o Calascione

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Il "Colascione", detto anche a Napoli "tiorba a taccone", risalente al secolo XVII, era uno strumento con un manico lunghissimo (da 1 a 2 metri) e cassa piccola (a forma di pera); veniva usato per la realizzazione del "basso continuo" nei complessi da camera, nei brani di danza e nella musica sacra. Ispirato all’arabo "tanbur" (liuto dal lungo manico), il suo nome deriva dal greco "galischan" (piccola cesta).Aveva da 16 a 24 tasti ed era armato con 2 o 3 corde (chiave di basso: "mi" sotto il rigo con un taglio in testa, "la" primo spazio e "re" terzo rigo; se le corde erano 2, veniva eliminato il "mi" basso).

Nel XVIII secolo le corde furono portate prima a 5 ed in seguito a 6 (chiave di basso: "re" sotto il rigo con un taglio in gola, "sol" primo rigo, "do" secondo spazio, "fa" quarto rigo, "la" quinto rigo e "re" sopra il rigo con un taglio in gola).

Colascione - accordatura

A Napoli si usava un modello più piccolo di "Colascione" (lungo circa 1 metro), il "Colasciontino" o "Mezzo Colascione", che il popolo partenopeo chiamava "Calascione".

Il Calascione napoletano (armato di 2 o 3 corde intonate un’ottava sopra a quelle del Colascione) era costruito con molta più cura, rispetto al fratello maggiore, poiché venivano usati legni pregiati e preziosi intarsi d’ebano, madreperla e avorio. A Napoli rappresentava uno strumento prettamente popolare (persino la maschera "Pulcinella" veniva raffigurata con un Calascione tra le braccia), la cui funzione nei gruppi musicali era quella del "basso".

A partire dalla metà del secolo XVIII, il Colascione e il suo fratellino napoletano, il Calascione, sono caduti man mano in disuso, sia nell’ambito popolare che in quello colto, soppiantati da strumenti più moderni ed efficienti.


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