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"Oltre ogni altro oltre"

L'itinerario poetico di Salvatore Cangiani

di Antonio Caccaviello

Salvatore CangianiSe Salvatore Cangiani, che oggi festeggia il cinquecentocinquesimo premio di poesia, chiedesse ai suoi conterranei: “Che è la poesia?” ipotizzeremmo due risposte diametralmente opposte. La prima: la poesia è inutile, superflua, sprecata. Il celebre commediografo francese August Becque, nel 1840, osservava: “Di quel che scriviamo metà è dannoso e metà è inutile.” La seconda risposta, invece: la poesia è essenziale, sublime. Ogni volta che compare un capolavoro, avviene una specie di miracolo, perché la poesia è verità e la verità è religione. Risposte ovviamente contraddittorie che mettono a nudo punti di vista diversi, due concezioni di vita: la prima, materialistica; la seconda, spirituale coesistenti proprio in un’area di forti tradizioni cristiane e di svariate forme d’arte che da oltre due millenni hanno consacrato e trasmesso l’antico “Credo” a noi cristiani d’oggi così aridi e disincentivati.

“Ciò che abbiamo imparato – ha scritto sul Corriere della Sera Francesco Alberoniperde di valore, non serve più a nulla, nessuno lo vuole. I genitori non capiscono i giochi dei figli, la loro musica ed i figli cosa vogliono.” Cambiamo continuamente per adattarci ai vertiginosi mutamenti delle tecnologie. E così il nostro relativismo ci defrauda di ogni certezza assoluta. Oggi sono reali: il corpo, il sesso, il cibo, l’euro. Un mondo fiaccato, stremato il nostro, per cui molti diventano avidi, cinici, volgari ed usano l’ipocrisia per nasconderlo.

Il celebre storico inglese Thomas Macaulay aveva anticipato nel lontano 1838: “A misura che progredisce la civiltà, la poesia quasi necessariamente decade.” In ciascuno di noi, tuttavia, c’è un bisogno di andare al di là del presente, del quotidiano, del conflittuale, del disordinato, del volgare per cogliere il sublime, l’essenziale, lo spirituale.

Intanto San Paolo, apostolo e padre della Chiesa morto nel 64 d.C., in una lettera agli Efesini aveva chiarito: “Dio è padre di tutti, è sopra tutti, agisce per mezzo di tutti, è in tutti.”

Oggi in Penisola Sorrentina sono presenti entrambi i punti di vista, le due concezioni di vita. C’è chi si lascia assorbire totalmente dal concreto, dal guadagno, dal conflitto, dal potere con la rimozione consapevole del sublime, del mistero, della fede e chi, in maniera discontinua, avverte nelle profondità del suo animo il richiamo all’Assoluto, all’Eterno.

Ai suoi conterranei, qualunque possa essere il proprio punto di vista, la loro concezione di vita, Salvatore Cangiani con naturale riluttanza lancia un messaggio appassionato e coerente: ammette, cioè, le difficoltà esistenziali; rifiuta, tuttavia, ogni defezione, l’abbandono del nostro pristino e alto ideale umano. La verità assoluta non è conoscibile è vero – incalza in nostro poeta – ma esiste; con la poesia, con uno slancio d’amore ci si può più o meno accostare ad essa. Per avvertirne il più vicino possibile il palpito, per sentirsi sia pur vagamente illuminati dalla sua luce, la strada scelta va percorsa con dedizione totale.

“Il poeta è da Dio.
…………… è lui
che s’avventura all’ultima propaggine
del dolore e del sogno
e al cuore sigillato della vita
attinge inni di gioia.

Il poeta è con Dio.
Per questo è sempre
per l’uomo.
Sia quando avvampa d’ira
sia che per lui delira
egli è sempre per l’uomo.
Lo accusa per assolverlo. Lo incalza
per lasciarsi raggiungere. Per lui
si fa frescura d’acqua nei deserti.

Il poeta è di Dio.
Come il lampo alla folgore
come il rimbombo al tuono
egli appartiene a Dio.
Se tace è il suo silenzio
se ti chiama è il suo strazio
se ti prende per mano
è per aprirti un varco nell’immenso.”

Il grande poeta e romanziere francese Victor Hugo, vissuto tra il 1802 e il 1885, aveva rilevato con particolare finezza: “Dio si manifesta a noi in primo luogo attraverso la vita dell’universo, in secondo luogo attraverso il pensiero umano. La prima manifestazione si chiama Natura, la seconda poesia. Da ciò deriva questa realtà che il poeta è prete, profeta e guida per vocazione.”

“Se sapessi pregare
non chiederei le luccicanti cose
che irretiscono il mondo,
non chiederei nessuno
dei beni che ci saziano e ci fanno
malati d’un’assenza misteriosa.

Ma chiederei soltanto la parola
che acquieta, il gesto amico
che spezza solitudini, il sorriso
che riconcilia l’uomo con la vita.

Se volessi pregare
chiederei un sorso al calice che inebria
i poeti ed i santi
per perdermi con loro nel delirio
senza fine di Dio.”

Impastato di sogno, d’argilla, di stupore, Salvatore Cangiani assurge a coscienza cosmica dell’uomo d’oggi. Esprime ora “l’arcano senso dell’eterno e la trasognata commozione dell’anima davanti al mistero ora il proprio disagio esistenziale.”

I suoi cinquecentocinque premi di poesia, di cui centoquattordici primi premi, si riferiscono a temi i più diversi delle dieci raccolte poetiche, pubblicate in quaranta anni di attività letteraria. Inoltre ben novantanove premi, di cui quarantatré primi premi, sono ascrivibili a soggetti chiaramente religiosi.

Partendo proprio da queste curiosità appena riferite, ci siamo proposto di scrivere alcune note di approfondimento su questo aspetto specifico delle liriche del conterraneo e amico Salvatore.

Abbiamo indugiato su due temi specifici: il dolore e l’amore che costituiscono le linee guida del suo itinerario poetico. Peraltro ci è sembrato che tutti gli altri soggetti affrontati dall’autore si colleghino con i due da noi prescelti e brillino di luce riflessa.

“E’ Croce in lui la sete d’acqua chiara
delusa dai deserti, l’abbandono
d’un giorno dopo l’altro,
il sogno di bellezza e d’infinito
su cui l’anima piange in solitudine.”

La vita umana è inserita tra due incrollabili certezze: quella della nostra morte e quella della nostra resurrezione. Tra questi due punti fermi un breve o lungo segmento di vita temporale in cui sperimentiamo la solitudine, l’abbandono, il tramonto di ogni sogno di bellezza e una sete inestinguibile d’acqua chiara. L’immagine più vera del nostro vivere quotidiano è solo quella che lasciamo impressa con il sudore e il sangue. Procediamo per crolli lungo i pendii del mondo, assistiamo al naufragare silenzioso del tempo: tutto avviene con pena e fatica e il cosmo e l’uomo non sanno altra vicenda che non sia di sconfitte e di cadute. L’amore incommensurabile di Dio lo inducono a camminare quaggiù accanto a noi, nella polvere del giorno. La sua infinita distanza si fa fraterna vicinanza a noi.

“…ma un fuoco
ora c’è nella notte: ora che hai scelto
di farti demolire nel terrestre
crogiolo, unito a noi
parte del nostro grido. E se nel magma
dell’uomo c’è qualche residuo d’oro
dalle tenebre del fondo
emergerà soltanto alla tua luce.”

“Non basta dare voce al dolore – spiega opportunamente Salvatore Cangianibisogna dargli soprattutto un senso, come non basta scavare alle radici dell’essere, ma tendere piuttosto, e con tutto lo spasimo, a cogliere i fini ultimi e arcani della nostra vicenda.”

“Molti cristiani - commentò amaramente Tommaso da Kempis parecchi secoli fa – seguono Gesù fino allo spezzare del pane; pochi, fino a bere il calice della passione.”

“E’ fuoco di paglia un amore senza la sofferenza” - ha scritto San Pio da Pietrelcina, nei suoi diari.

E Nietzsche: “Anche Dio ha il suo inferno: è il suo amore per gli uomini.”

Rabindranath Tagore, premio Nobel per la poesia nel 1913, ha così descritto l’amore di Dio per l’uomo e l'amore dell'uomo per Dio:

“Tu m’hai reso infinito
così come volevi.
Svuotasti quest’anfora mille volte
e sempre stipasti di nuova vita.
Portasti con te questo flauto di canna
e vi soffiasti dentro melodie sempre nuove.
I tuoi doni infiniti
affluiscono nelle mie minuscole mani.
Trascorrono le epoche.
Tu continui a versare
ed ancora c’è vuoto da colmare.”

Siamo sulle vette, le più alte del pensiero e dell’espressione artistica dell’uomo: a queste altezze ci vengono le vertigini.

E’ la pazzia di Dio per l’uomo e la pazzia dell’uomo per Dio. Sembrano due amanti che sbagliano il luogo dell’appuntamento. Tutti e due arrivano in anticipo sull’ora fissata e in due luoghi diversi. E aspettano, aspettano, aspettano. Uno è in piedi, inchiodato sul posto per l’eternità dei tempi. L’altro è distratto e impaziente, si stanca e se ne va!

Rosario Di Nota“Se appena
Tu avessi gridato il mio nome
solo un poco più forte
perché ti seguissi alla danza
e se quando pur mi hai portato
sulle tue invisibili braccia
io avessi potuto sentire
la mia solitudine
disfarsi al tepore d’un prato
avrei abbandonato il mio capo
alla rupe possente
che offristi al tuo giovane amico
dell’ultima cena.
Avrei ad occhi chiusi
baciato la sabbia incavata
dall’orma tua nuda.
Giulio IaccarinoMa non eri che freddo e silenzio
e vertigine e vuoto
e fu allora
che iniziò la mia storia
d’inseguimenti e di fughe.
Ora il viaggio finisce.
Ritorno
da tutti i sentieri
su cui m’avventai nella corsa
urlando la mia
disperata innocenza.
E ho piedi graffiati
da tutti i rovi del mondo
e mani che stringono
consunti piaceri e delizie
soltanto intraviste.
Ma che Tu m’abbia un giorno
oscuramente raggiunto
su traguardi di nebbie al di là
di questi orizzonti marini
lo grida l’assenza dolente
che è in me, piaga d’ombra
che non si rimargina
sull’altra parte del cuore.”

“Per anni ed anni andai alla ricerca di Dio – è, in sintesi, il racconto di Salvatore Cangiani - quando alla fine gli occhi mi si apersero, m’accorsi che era Dio a cercare me.”

Intanto coloro che dovevano aiutare l’amico poeta Salvatore e noi tutti, quelli che dovevano indicarci la via d’uscita, li abbiamo trovati spenti, lontani da rotte sicure: quelle da loro praticate, schiave della razionalità e delle certezze scientifiche, indicavano percorsi senza via d’uscita, per cui non ci siamo allontanati dalle nostre più antiche tradizioni religiose dei nostri avi che avevano da secoli scelto a guida e a protezione delle loro navigazioni la Madonna.

“... e l’unico rusario ca mo siente
è chillo d’’e peccate.

Ma forse nun è overo,
forse senza cuntà l’Avemmaria
a ddiece a ddiece ‘ncoppa na curona,
‘ a vita nosta è tutta nu rusario:
chillu rusario ca ‘un dicimmo cchiù
è invece na catena ca ‘un se spezza,
na preghiera segreta
ca siente sulo Tu.”

Copyright © 2005 Antonio Caccaviello. Tutti i diritti riservati.

Massalubrense,  3 gennaio 2005 - Salvatore Cangiani riceve una targa di merito. (Foto G. Ruggiero - www.virtualsorrento.com)